Spirito di servizio

La disponibilità apostolica, è essenzialmente posizione di servizio, di povertà, di donazione, di espropriazione.
Lo spirito di servizio ha dei gradi: unirsi con Gesù vittima, unirsi con Gesù pane, arrivare alla schiavitù per le anime.
Tre gradi di servizio che, evidentemente, non possono essere vissuti se non nella spiritualità e nella luce della croce.
La partecipazione al mistero della espropriazione di Cristo, del suo annientamento, della sua kenosis si concretizza nell’esercizio dei voti che sono come un grande fascio di luce che danno l’immagine totale di Cristo crocifisso cui si desidera configurarsi.
I voti sono realtà essenzialmente positive, trasfiguranti in Cristo. Essi non creano un vuoto sterile ma un vuoto che deve essere riempito dalla pienezza di Cristo.
Il voto di castità, attraverso cui liberamente si rinuncia a determinate tendenze di natura è quello che più configura al mistero della incarnazione di Cristo e allo svuotamento di cui parla S. Paolo. Il mistero della incarnazione, infatti, è la rinuncia del divino per l’uomo, in cui Dio prende la forma dell’uomo, quindi svuota se stesso.
Con il voto di povertà si ripete in sé la rottura da parte di Cristo con il mondo e con i suoi possessi; rottura che trova un momento “plastico” nelle tentazioni di Cristo nel deserto.
Satana offre a Lui i regni della terra, la gloria, la potenza; Cristo lo allontana, lo caccia via.
La configurazione a Cristo, alla sua povertà, al suo regno non è un fatto negativo, ma positivo, perché fa ricchi di Lui e del suo Regno.
Non c’è creatura più ricca di chi ha rinunciato a tutto per Cristo, perché di nulla ha bisogno e in Cristo trova tutto.
Ce ne dà un esempio S. Benedetto Labre il quale è stato tra i santi forse il più povero. In un certo vicolo del centro di Roma in cui la gente gettava i rifiuti, egli andava a cercare, tra i rifiuti, qualche cosa da mangiare. Allora la gente che lo amava e lo stimava come santo, dava a lui quanto avrebbe potuto servirgli; egli tutto accettava ma poi tutto dava ai poveri: di nulla diceva di aver bisogno perché trovava tanto tra i rifiuti.
La povertà è la ricchezza di chi è povero. Quanto più saremo poveri, tanto più saremo ricchi, perché non avremo bisogno di niente come Cristo. Se fossimo realmente poveri, il Signore farebbe miracoli per noi.
La rinuncia alla propria volontà attraverso il voto di ubbidienza conforma a Cristo, il quale, per ubbidienza al Padre, muore sulla croce.
Quando si parla di ubbidienza al Padre si ha la sensazione di un Padre duro e prepotente che si impone. Così pensando si dimentica il mistero dolcissimo della Trinità in cui il Padre e il Figlio sono congiunti nell’unità dell’amore dello Spirito Santo.
La adesione della volontà di Cristo alla volontà del Padre qualunque essa sia, non è altro che l’azione dello Spirito Santo che congiunge in unità indissolubile il Padre e il Verbo.
L’atto di adesione della volontà di Cristo alla volontà del Padre è appunto mozione intima e dolcissima dello Spirito Santo. E’ così che va vissuto il voto di ubbidienza; in spirito trinitario, in una tensione di amore, sotto la mozione dello Spirito Santo per cui si accetta l’ubbidienza come esperienza di fede, non come divisione tra chi comanda e chi ubbidisce.
Inseriti in un mistero di fede trinitario liberamente e gioiosamente per amore di Cristo, con Cristo si accetta il primato della fede e dello Spirito nei confronti del primato della propria esperienza, della propria intelligenza, della propria volontà.
E’ evidente che ciò richiede essenzialmente spirito di fede, adesione allo spirito e alla croce di Cristo integrati dalla contemplazione dell’amore redentivo, ovvero di Gesù redentore che ha riparato per noi e a cui noi dobbiamo partecipare.

(da La teologia della croce, 138-140)

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